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Comunicazione e fundraising: alleanza vincente per il terzo settore

Fundraising
  • Dialogo con Luciano Zanin, da oltre 25 anni nel mondo del non profit. Fundraiser, consulente e formatore per il fundraising e il peopleraising.
  • Il fundraising per il terzo settore può essere definito un’attività istituzionale che rende anche più efficace il funzionamento delle comunità.
  • Non può esistere fundraising senza comunicazione: questo perché il fundraising è, soprattutto, relazione.
  • I plus di una strategia (e di un’operatività) omnicanale: andare incontro al potenziale donatore e metterlo al centro.
  • Coerenza, coordinazione, programmazione: il binomio fundraising-comunicazione può fare la differenza nel terzo settore.
  • Italian Giving Report 2023: più donazioni e maggiore propensione, anche grazie al digitale.

Luciano Zanin: fundraiser per passione

Esiste un rapporto tra comunicazione omnicanale per il terzo settore e fundraising? Per rispondere a questo quesito, abbiamo interpellato uno degli esperti del fundraising: Luciano Zanin. Da oltre 25 anni nel non profit, è fundraiser, consulente e formatore per il fundraising e il peopleraising, è stato presidente dell’Associazione Italiana dei Fundraiser (ASSIF) per 6 anni. Autore di numerosi volumi e articoli dedicati al tema delle raccolte fondi, è amministratore unico, consulente e formatore della società benefit Fundraiserperpassione¹.   

Come si può definire il fundraising per il terzo settore? 

Le risposte sono due: una più “strumentale” e una più valoriale, ma entrambe necessarie e comunque buone.
La prima dice che il fundraising riguarda l’attività di reperimento di risorse, spesso economiche, quindi soldi o beni, ma anche il tempo o altri beni immateriali necessari alle attività delle organizzazioni non profit. In questo caso, si potrebbe considerare il fundraising per un’organizzazione non profit alla stregua dell’attività commerciale per una impresa for profit.
La mia idea di fundraising è, invece, molto più ampia. E parte da una considerazione. Il fundraising ha come obiettivo la costruzione di relazioni con i donatori potenziali ed effettivi. Per far sì che questi possano esaudire il loro desiderio/bisogno di fare qualcosa di buono, di utile e di bello. Il dono è anche la genesi delle organizzazioni non profit (senza dono le ONP non esisterebbero), allora fare fundraising è un’attività istituzionale.
In più, se aggiungiamo il fatto che, attraverso il fundraising, si attivano risorse materiali e immateriali presenti nelle comunità, ma di fatto, inattive o sottoutilizzate, allora il fundraising rende anche più efficace il funzionamento delle comunità.
Quindi la domanda potrebbe essere: può il terzo settore fare a meno del fundraising? La risposta è no. Sia perché gli serve, ma ancor più perché il terzo settore è dono e il fundraising di questo si occupa.

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Può esistere il fundraising senza comunicazione?  

Il fundraising è soprattutto, anzi direi esclusivamente, relazione: può una relazione esistere senza comunicazione? Direi proprio di no. Se due soggetti, qualunque essi siano, (imprese, fondazioni, persone) non comunicano, come fanno a relazionarsi?
In più, io sono convinto che il dono esista nella quotidianità di tutti noi. Voglio dire che ogni giorno noi diamo e riceviamo qualcosa che non paghiamo o non ci è pagato e non mi riferisco solo al pagamento fatto con i soldi. Quindi, come li chiamiamo questi scambi, se non donazioni?
In tutto questo, il ruolo della comunicazione sta nel chiedere e poi nel fidelizzare. A noi comuni mortali non viene in mente di dare qualcosa a qualcuno se ciò non ci viene chiesto, o meglio, a pochi verrebbe in mente. Quindi, il ruolo della comunicazione sta nel fare proposte al donatore potenziale o effettivo e successivamente nel comunicare che le promesse fatte al momento della richiesta non solo sono state mantenute, ma hanno anche avuto un impatto positivo nella vita delle persone che il donatore intendeva aiutare.
Quindi, se non ci viene chiesto o non veniamo informati di quello che potremmo fare, non possiamo saperlo e, di conseguenza, le nostre opportunità di essere un po’ più felici, perché donare rende felici, diminuiscono. 

Perché una strategia comunicativa omnicanale per il fundraising?

Per andare incontro al donatore. Ormai tutti noi utilizziamo diversi canali per informarci, capire, imparare, comunicare e anche all’interno dello stesso canale usiamo strumenti diversi. Vi è mai capitato, ad esempio, di scrivere un messaggio di WhatsApp e avere una risposta con un audio?
Ecco, non solo la strategia, ma direi anche e soprattutto l’operatività deve essere omnicanale. Perché così il donatore fa sempre una bella esperienza e trova sempre quello che gli serve o che desidera in modo personalizzato.

  • La strategia multicanale legge i dati da dentro a fuori in modo autoreferenziale e indistinto e pianifica le azioni di conseguenza.
  • La strategia omnicanale obbliga, invece, a mettere al centro il donatore, in sostanza a mettersi nei suoi panni. Parla, quindi, in modo più personalizzato ai diversi pubblici destinatari, ne comprende e ne asseconda i desideri.

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In una realtà del terzo settore, che rapporti devono intercorrere tra fundraiser e comunicatore? 

I rapporti devono essere coerenti e coordinati. Una organizzazione non profit dovrebbe comunicare di default. Questo perché l’organizzazione non profit non ha una proprietà: è patrimonio della comunità e, non a caso, la comunità le riserva un trattamento di favore, sia fiscale sia di considerazione complessiva.
Quindi, la comunicazione è vitale per un’organizzazione non profit. Se non comunichi, non esisti. Non comunicare tout court è impossibile, ma anche “non dire nulla” è un modo per farlo. Ecco perché il binomio fundraiser-comunicatore può e deve essere vincente. Per organizzare bene queste due funzioni serve capacità di programmazione. La comunicazione dà al fundraising linfa vitale. Dal canto suo, il fundraising produce per la comunicazione storie ed esperienze per comunicare il senso e la missione dell’organizzazione.

Quale il futuro del dono in Italia? 

Di recente è uscito l’annuale Italian Giving Report che presenta un aumento delle donazioni delle persone del 19% nel 2022 e delle imprese del 28%. Vero che questi dati sono influenzati da emergenze straordinarie quali il Covid-19 e la guerra in Ucraina, ma comunque il dato è molto interessante e fa ben sperare.

Non solo aumentano i donatori e la donazione media è passata dai 61 euro del 2021 ai 69 del 2022, ma le giovani generazioni, Millennials e Generazione Z, si sono date un gran da fare per donare, anche grazie alla diffusione di strumenti di partecipazione digitali. Dal canto loro, Generazione X e Boomers stanno dimostrando una sempre maggior propensione sia a fare testamento, attività per nulla scontata nel nostro Paese, sia a prevedere in esso somme o beni a favore delle organizzazioni non profit. Alcuni studi stimano il valore di questo passaggio generazionale di patrimonio in circa 800 miliardi di euro nei prossimi 10/12 anni.

Quindi, tutte le generazioni, pur in questo tempo per nulla facile, sembrano avere una propensione sempre crescente rispetto alla possibilità di fare donazioni.
Di conseguenza, le organizzazioni non profit devono investire in modo molto più deciso per far sapere loro che cosa potrebbero fare per migliorare il mondo e per esaudire i loro desideri in questo senso. Devono, insomma, impegnarsi di più nella comunicazione. Come? Dotandosi delle competenze che servono. E, soprattutto, non considerando questa attività come accessoria e residuale. Va, invece, finalmente concepita come attività istituzionale che persegue una mission.

NOTE

¹ Per approfondire: Fundraiserperpassione

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