
L'imbuto è l'immagine che rappresenta in maniera chiara il concetto di funnel di marketing ovvero il percorso che compie un potenziale cliente dal primo contatto col brand all’acquisto e fino alla fidelizzazione. Tuttavia, non tutti coloro che scoprono il brand diventano poi clienti, perciò, mano a mano che si scende lungo il cono rovesciato dell’imbuto, la platea di potenziali clienti diminuisce sempre di più per via della naturale scrematura data dall’interesse verso la proposta. In cima all’imbuto si trova un pubblico generico non consapevole del prodotto, mentre alla fine ci sono le persone più consapevoli e convinte, che sono diventate clienti. Capire che cos’è il funnel del marketing e come funziona è fondamentale per definire delle strategie di marketing e comunicazione che siano in grado di raggiungere obiettivi specifici come attrarre attenzione verso un nuovo brand, aumentare le conversione o accrescere la fidelizzazione della clientela. Continua a leggere per scoprirne di più.
Il marketing funnel tradizionalmente veniva suddiviso in quattro fasi principali:
Quello che abbiamo appena presentato è il modello AIDA1, il primo nella storia ad essere teorizzato a fine Ottocento. Questo schema ha il pregio di sintetizzare in maniera efficace i principi fondamentali dell’attrazione di cliente e guidare così la definizione di una campagna di comunicazione articolata su diversi segmenti di pubblico dal più generico e freddo a quello più consapevole e caldo. Questo modello, nella sua versione originale, si fermava all'acquisto, ignorando l'importanza di supportare il cliente dopo l'acquisto per promuovere la fedeltà alla marca e il passaparola positivo. Questi aspetti sono ormai consolidati nel marketing contemporaneo, tanto che ormai nelle sue versioni più recenti il modello AIDA viene aggiornato con l’aggiunta della fondamentale fase di fidelizzazione (Retention), che si focalizza sulla capacità di attrattività di un brand nel lungo termine. Infatti, dei clienti soddisfatti possono ripetere l’acquisto e addirittura possono diventare ambasciatori del brand, innescando nuove conversioni senza ripartire dall’inizio.
LEGGI ANCHE Omnicanalità e opticanalità: parenti serpenti o duetto virtuoso?
Questa evoluzione teorica è una conseguenza di un fenomeno incontrovertibile: la customer journey non è un fattore immutabile, ma si adatta alle evoluzioni della società. Nel mondo attuale, che è molto diverso da quello di fine Ottocento, i percorsi di acquisto sono molto più complessi: un potenziale cliente oggi può entrare in contatto con un brand attraverso molteplici touchpoint come i canali social, ricerche su google, risposte fornite dalle intelligenze artificiali, media tradizionali e via dicendo. All’interno di questo mare magnum di possibilità è cruciale individuare lo schema più adatto al modello di business del brand.
Non esistendo più un’unica esperienza di acquisto, l’analisi del mercato e le strategie di marketing si sono fatte più particolareggiate. Per questo oggi esistono molti modelli che rappresentano differenti modalità e percorsi di acquisto.
Analizzando questa evoluzione economica e sociale, negli anni recenti l’economista Kotler ha individuato altri quattro archetipi di funnel che si aggiungono al classico imbuto.2Il loro nome deriva dalla forma che assume il modello a seconda di quanto si allarghi o restringa la platea di potenziali cliente nelle cinque fasi, da lui ribattezzate Aware, Appeal, Ask, Act e Advocate che però corrispondono concettualmente a Aware,Interest, Desire, Action e Retention.




LEGGI ANCHE Marketing azienda: come si articola, obiettivi e strategia
Esiste anche un modello specifico per il marketing digitale, che si caratterizza per una struttura in tre fasi:
Si tratta di una forma semplificata del modello AIDA, però va sottolineato come ci siano altri due elementi da prendere in considerazione. A monte di questo imbuto c’è il traffico online, che può derivare da attività di posizionamento SEO, campagne pay per clic, backlinking da altri siti, traffico in entrata dai social e che costituisce il punto di partenza che alimenta il funnel. Mentre a valle vanno incluse tutte quelle attività di remarketing che, basandosi sui database a disposizione dell’azienda, sono alimentate da strategie di e-mail marketing e annunci mirati. Ciò permette di continuare a stimolare un cliente nel lungo periodo, spiegandolo a ripetere l'acquisto. Il vantaggio del marketing digitale è che tutto è misurabile e verificabile e questo permette di mantenere costantemente sotto controllo l’andamento delle performance di vendita.
LEGGI ANCHE SEO e intelligenza artificiale: cosa cambia
Quelli che abbiamo presentato sono dei modelli generici che vanno personalizzati alle situazioni specifiche di ciascun brand. Costruire un funnel di marketing efficace significa progettare un percorso dinamico e coerente col business model dell’azienda, in grado di accompagnare il cliente in ogni fase del suo viaggio, dall’interesse iniziale alla fidelizzazione. Per questo, serve una strategia omnicanale data-driven, fondata su dati precisi e misurabili, obiettivi chiari e target ben definiti. Di conseguenza, è fondamentale individuare delle KPI, che permettano di monitorare il comportamento degli utenti e capire se l’insieme delle azioni messe in atto siano realmente efficaci. Per conseguire questi obiettivi è fondamentale l’apporto di software come CRM e piattaforme di marketing automation che permettono di segmentare il pubblico e personalizzare ogni interazione.
Infine, in un approccio omnicanale come quello proposto da Hassel, il funnel deve integrare in modo fluido tutti i punti di contatto tra il brand e i clienti: dal sito web ai social, fino al punto vendita fisico. Un funnel ben progettato non è un semplice schema teorico, ma un sistema dinamico che guida il brand verso il miglioramento delle performance.
NOTE
1 Nel 1898 il pubblicitario americano Elias St. Elmo Lewis teorizzò per la prima volta il modello di funnel di marketing AIDA che divenne popolare negli Usa a partire dagli anni Sessanta.
2 “Marketing 4.0. Dal tradizionale al digitale” di Philip Kotler (Hoepli, 2017).